15
Gen 2018
Numero N. 445
Politiche attive del lavoro: unica vera speranza

Le politiche attive del lavoro richiedono uno Stato efficiente, organizzato e professionale: in difetto, e’ molto piu’ semplice adottare politiche passive che si traducono esclusivamente in esborsi di denaro da parte dei contribuenti.

C’e’ da augurarci che prendano piede anche al Sud le politiche attive del lavoro, statali e regionali. Tra queste, il contratto di ricollocamento, stipulato dallo Stato con il lavoratore disoccupato per spendere fino a 5.000 euro presso le migliori agenzie di ricerca di una nuova occupazione…

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Il voucher viene pagato a buon fine della ricerca, a condizione che il lavoratore accetti la formazione e il posto offerto (al secondo  rifiuto si perde l’assistenza). Sulla carta, una riforma straordinaria che modifica 50 anni di deriva assistenziale. Ma dal dire, al fare …

 

Solo il 10% dei disoccupati ha scelto di usufruirne

Al di fuori del virtuoso esempio di Regione Lombardia (120.000 lavoratori intermediati all’anno) e di qualche altra Regione, per il resto anche il contratto di ricollocamento stenta ad avviarsi, probabilmente a causa dell’atavica diffidenza che la burocrazia del Ministero del Lavoro nutre nei confronti della necessaria collaborazione dei Centri per l’Impiego statali con le Agenzie del lavoro private.

Poco tempo fa sono stati inviati a 30.000 disoccupati delle lettere con l’offerta dell’assegno di ricollocamento da spendere presso le agenzia del lavoro a scelta; ebbene soltanto il 10% ha optato per usufruire dei servizi di ricollocamento, preferendo l’inattività sostenuta dall’indennità di disoccupazione alla ricerca di una chance lavorativa. Più o meno quanto successo con i dipendenti Alitalia che hanno preferito usufruire ben sette anni di CIGS (!) prima di accettare l’opportunità di essere ricollocati.

 

 

In Italia 200.000 posizioni di lavoro scoperte

Il lavoro va scovato dove c’è, il lavoratore non lo sa e per questo lo Stato deve aiutarlo; a quanto sembra esistono in Italia circa 200.000 posizioni di lavoro che cercano un titolare senza trovarlo; molte delle quali sono nuovi lavori che richiedono competenze che il mercato attualmente non offre.

I Centri per l’Impiego, non sembrano oggi in grado di far fronte all’eccezionale fabbisogno di politiche attive del lavoro; gli 8.000 addetti ai centri di ricollocamento, sparsi per il Paese, si occupano di registrazioni, attestazioni e hanno una formazione giuridica (in Germania sono ben 80.000 con una variegata latitudine di competenze); ben pochi hanno le competenze per sviluppare un serio progetto di marketing territoriale per i disoccupati. E purtroppo anche una parte delle Regioni non ha sviluppato un modello alternativo a quello Statale.

Tuttavia, c’è da dire, che non tutto è fermo e che le Regioni più virtuose insegneranno, come in parte è già stato fatto, a funzionare a tutte le altre. Speriamo che succeda sempre più velocemente.

Applicazione in azienda: lo sbilancio tra qualità del lavoro richiesto e disponibilità sul mercato è sempre più marcato. Ma le imprese devono essere protagoniste pena la loro arretratezza e quella del paese. Devono interagire con le strutture per l'impiego e il lavoro alla ricerca di talenti con buone predisposizioni e offrire programmi interni di formazione. Dove non arriva il pubblico, deve fare il privato.
Parola Chiave: risorse umane
Cosa ne pensa la community: Piace a 2 soci e un socio ha un'altra idea
Raffaele Pallotto
Raffaele Pallotto 16/01/2018 00:50:50

Lo Stato non è in grado di occuparsi di "politiche del lavoro". Il governo non deve intervenire in questo settore. Il migliore sistema per aumentare salari ed occupazione è quello di accrescere la produttività del lavoro. Ciò si ottiene soltanto e sempre attraverso un rapporto diretto tra dipendenti e singola impresa senza intermediazione alcuna. Solo le imprese creano occupazione. L'intervento pubblico del governo crea solo scompensi all'interno del mercato del lavoro di un Paese. Non si può continuare a pagare il lavoro più di quanto non consenta la sua produttività.