Tutti ricordiamo che, all'inizio dell'operazione Chrysler, Sergio Marchionne aveva dichiarato che la priorita', per Fiat, era di trovare un partner industriale. Gli aveva fatto eco John Elkann: gli Agnelli erano pronti a diluire la propria quota di controllo.
Invece, dal recente vertice di famiglia e' emerso un cambio di rotta. Gli Agnelli sono intenzionati a mantenere una quota di controllo. E Marchionne ha escluso qualunque ipotesi di aumento di capitale. Ma e' la scelta migliore?
La volonta' di mantenere il controllo e' legittima. Gli Agnelli hanno scommesso sul rilancio di Fiat quando la possibilita' di fallimento era tutt'altro che remota.
L'operazione e' riuscita ed e' comprensibile che chi l'ha portata avanti ora voglia mangiare la torta. Ma bisogna essere sicuri che la fetta non sia troppo grossa.
Tutti ricordiamo che, all'inizio dell'operazione Chrysler, Sergio Marchionne aveva dichiarato che la priorita', per Fiat, era di trovare un partner industriale. Gli aveva fatto eco John Elkann: gli Agnelli erano pronti a diluire la propria quota di controllo.
Invece, dal recente vertice di famiglia e' emerso un cambio di rotta. Gli Agnelli sono intenzionati a mantenere una quota di controllo. E Marchionne ha escluso qualunque ipotesi di aumento di capitale. Ma e' la scelta migliore?
La volonta' di mantenere il controllo e' legittima. Gli Agnelli hanno scommesso sul rilancio di Fiat quando la possibilita' di fallimento era tutt'altro che remota.
L'operazione e' riuscita ed e' comprensibile che chi l'ha portata avanti ora voglia mangiare la torta. Ma bisogna essere sicuri che la fetta non sia troppo grossa.
Le banche valutano Chrysler 10 miliardi di dollari. E' questa la cifra per l'Ipo voluta dall'azionista di minoranza, il fondo Veba del sindacato United Auto Workers, con il 41,5%. Quota fondamentale per le strategie di Marchionne, intenzionato a procedere con una fusione per creare un gruppo capace di competere con le maggiori aziende del settore.
Chrysler, con i suoi 4 milioni di autoveicoli, e' ancora ben lontana dalla soglia di 6 milioni. Ed e' difficile che vi si arrivi in tempi ragionevoli per crescita interna. Si profilano quindi altre acquisizioni.
La struttura finanziaria dell'impresa risultata dalla fusione potrebbe essere troppo fragile, con poca liquidita' e alto debito. Cio' e' tanto piu' vero in vista di altre potenziali aggregazioni, per le quali la differenza fra una struttura finanziaria solida e una fragile potrebbe fare la differenza fra essere preda o predatore. Subordinare le difficili sfide che Fiat dovra' affrontare al mantenimento del controllo e' una strategia pericolosa.
Il ragionamento si applica al sistema produttivo italiano nel suo complesso. Tre elementi sono complici nel ritardare il processo di rilancio della competitivita' del sistema. Primo, il controllo familiare sopra qualunque altro obiettivo rappresenta un ostacolo a processi di fusione, cessione, acquisizione. Poi, la prevalenza della piccola dimensione, anche delle imprese maggiori, impedisce di sfruttare le economie di scala. Infine la valorizzazione delle nuove utilita', magari ricercandole a monte e a valle della produzione - innovazione, marketing, distribuzione - e migliorando l'approccio commerciale.
Per partecipare al sondaggio è necessario aver effettuato il login.
Tiriamo le fila della discussione...
Rinunciare al controllo dell'azienda pur di realizzarne la crescita? Materia molto contrastata! Molti soci di club Impronte si rendono conto che l'azienda che si chiude, fino a diventare non contendibile, e' destinata a perdere efficienza e con cio' la propria sostenibilita' nel tempo. Molti altri vedono nel controllo dei fondatori l'essenza della continuita', al riparo da speculazioni finanziarie.
Venendo alle criticita' per generare il vantaggio competitivo della loro azienda, la maggioranza le vede nell'innovazione di prodotto e nella taglia dell'impresa rispetto ai concorrenti diretti. Il 75% ritiene significativo l'avvio di percorsi di crescita per linee esterne ma il 25% teme che possano mettere in crisi il controllo dell'azienda.
Buona settimana.
Rispondo a Adriano Teso. Colgo la prospettiva che lei suggerisce circa la diversa "lungimiranza" tra socio industriale e finanziario. Quest'ultimo troppo spesso s'inserisce per intercettare parte del valore "liberato" dalle operazioni straordinarie cui lei accenna. L'autore, invece, descrive il dilemma della crescita dell'azienda perdendo il controllo a favore di un socio industriale che possa avere risorse critiche (asset di business). Il caso Fiat cui si fa riferiemnto è, per il momento, di questa natura. Mi viene in mente il caso Bulgari di qualche tempo fa. Cordialità
Crescita e controllo sono temi che si intrecciano in modo crescente mano a mano che il contesto competitivo dell'impresa diventa sfidante. Concordo sul fatto che la "perdita del controllo" sia un percorso che evoca un insuccesso, una sconfitta e quindi imprenditori con aziende finanziariamente sane non lo affronterebbero volentieri. Ma l'apertura del capitale, anche fino al punto di contenderne il controllo, può essere necessario anche per ragioni diverse dall'aspetto finanziario. Aprire il capitale può essere condizione necessaria per fare entrare know-how, risorse umane, asset e quote di mercato altrimenti impossibili da acquisire nei tempi dovuti.
Adriano Teso :
Normalmente è la proprietà famigliare che investe nel lungo termine ed è la finanza che gioca sul breve e quindi , per usare la vostra terminologia, più predatrice. L'apertura a capitali esterni avviene normalmente per fare alti utili nella cessione di una parte dell'azienda, o per ragioni successorie e quindi del frazionamento della proprietà e quindi di alcuni famigliari che decidono di uscire. Quasi mai per necessità di liquidità dello sviluppo di una azienda sana .
Non è detto che si debba sempre crescere. La sopravvivenza a lungo termine dell'azienda può passare anche attraverso strategie differenti. Il tema delle capacità dell'azionista a guidare l'azienda lungo la strategia delineata e' comunque indipendente rispetto alla variabile delle dimensioni d'impresa, basti pensare alle sfide del passaggio generazionale. Credo sia nell'interesse stesso dell'azionista valutare la convenienza a mantenere il controllo a tutti i costi, oppure trovare vie diverse per garantire la prosperita' dell'impresa
Rimango dell'idea (sulla quale non è facile essere d'accordo in pieno, specie se si è azionista di controllo) che l'azienda sia entità che deve massimizzare il valore che la sua missione le permette. Quindi, se le strategie di business collidono con il controllo corrente, va cercato un nuovo assetto di controllo. Spesso ciò va a vantaggio dello stesso azionista "scavalcato", specie se è stato lui a immaginare questa soluzione e l'ha gestita in prima persona.
Basta aumentare la scala produttiva delle imprese? La dimensione è condizione sicuramente non sufficiente, ma necessaria: unita ad una gestione manageriale efficiente e oculata, rappresenta l’unica speranza di rilanciare il sistema. Fiat – Chrysler costituisce un ottimo paradigma al proposito. La coppia Elkann-Marchionne ha funzionato bene sinora: Marchionne ha goduto dell’appoggio incondizionato dell’azionista di controllo e ha potuto quindi mettere a punto strategie di medio/lungo periodo senza la pressione del mercato azionario. Ma per cogliere le opportunità che si apriranno quando arriverà la ripresa è importante lasciare la porta aperta a nuove risorse finanziarie e manageriali. Un’impresa che vuol essere uno dei giocatori mondiali al ristretto tavolo dei produttori automobilistici non può dipendere troppo dal vincolo del controllo.